Questa è la principale differenza con la fisica classica o newtoniana che, per esempio, vede la luce solo come onda e l’elettrone solo come particella.
Il dualismo onda–particella è la principale causa della messa in discussione di tutte le teorie della fisica classica sviluppate. Questa teoria si può applicare anche alla luce.
Uno degli esperimenti principali dimostrò che due onde della stessa ampiezza possono essere in fase e, se interferiscono, originano un’onda sinusoidale che è somma delle sue sinusoidi componenti; possono però essere in controfase e, se interferiscono, originano un’onda nulla.
In certe situazioni, come messo in evidenza da Einstein con l’ipotesi del fotone nell’effetto fotoelettrico, la luce si comportava decisamente come composta da particelle.
L’effetto fotoelettrico è il fenomeno che si manifesta con l’emissione di particelle elettricamente cariche da parte di un corpo esposto a onde luminose o a radiazioni elettromagnetiche di varia frequenza.
Secondo Planck, la radiazione luminosa è composta da particelle corpuscolari (fotoni). Per riuscire a strappare un elettrone a una superficie metallica, l’energia del fotone deve essere più grande dell’energia di legame dell’elettrone nel metallo generando così un passaggio di corrente. Se invece l’energia del fotone è inferiore non si ha effetto fotoelettrico e non c’è passaggio di corrente.
Albert Einstein invece teorizzò l’effetto fotoelettrico con l’ipotesi che i raggi luminosi trasportassero particelle, chiamate fotoni, la cui energia è direttamente proporzionale alla frequenza dell’onda corrispondente: incidendo sulla superficie di un corpo metallico, i fotoni cedono parte della loro energia agli elettroni liberi del conduttore, provocandone l’emissione. Allora l’energia dell’elettrone liberato dipende solo dall’energia del fotone, mentre l’intensità della radiazione è direttamente correlata al numero di fotoni trasportati dall’onda.
La vera dimostrazione della dualità onda-particella della materia si ebbe con Davisson e Germer, con l’esperimento delle due fenditure.
Successivamente Niels Bohr introdusse anche il principio di complementarità, secondo il quale i due aspetti, corpuscolare e ondulatorio, non possono essere osservati contemporaneamente perché si escludono a vicenda.